Testacalda “SuperLandini”, super in tutti i sensi

di Massimo Misley

”SuperLandini” era tale anche a livello di massa, 35 quintali, e potenza, 48 cavalli, valori che nel 1934 nessun altro trattore agricolo poteva avanzare

Anni Venti del secolo scorso. Dopo le apparizioni dei primi trattori Fiat e Pavesi-Tolotti azionati con motori alimentati a petrolio, venne la volta dei Bubba, degli Orsi, e soprattutto dei Landini, tutti costruttori che proposero al mercato dei trattori mossi da unità monocilindriche a testacalda. Si trattava di propulsori rustici, robusti, in grado di bruciare combustibili pesanti e poco raffinati, quindi di basso costo e per tale motivo ideali per quel periodo storico. Non si trattava di novità assolute, in quanto i motori testacalda furono brevettati dagli inglesi Akroyd e Binney nel 1890, vennero montati su un trattore inglese a marchio Hornsby già dal 1896 dalla britannica Hornsby e furono poi lanciati in grandi numeri dalla tedesca Lanz e dall’inglese Marshall. Ciò nonostante, e anche se le loro prestazioni assolute erano piuttosto modeste, i testacalda italiani, semplici ed economici, si imposero sul mercato fino allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale contribuendo ai grandi lavori di bonifica delle vaste aree paludose Italiane destinandole all’uso agricolo. Protagonista in tal senso fu senza dubbio Landini, casa fondata a Fabbrico, in provincia di Reggio Emilia, nel 1884 per produrre macchine enologiche e che solo nel 1925 diede vita al suo primo trattore, il modello “30” la cui produzione di serie si avviò poi nel 1928 proponendo una connotazione costruttiva di tipo esclusivo.

Uno dei primi carri portanti

Mentre la maggior parte delle macchine dell’epoca era realizzata sulla base di un telaio che reggeva il motore e gli altri componenti, Landini realizzò il suo carro portante integrando fra loro la trasmissione e il motore, in quel caso un testacalda di 11 mila e 770 centimetri cubi eroganti 25-30 cavalli. Ne derivò una macchina per l’epoca molto prestazionale, tant’è che quattro anni dopo fu affiancata dal modello “40” e nel 1934 da “SuperLandini”, in sigla “Sl 50”. Pesante a vuoto 35 quintali, largo mille e 730 millimetri, alto mille e 830 allo scarico e lungo tre metri e 35 centimetri, “Sl 50” ereditò dal modello “40” i concetti progettuali di base e anche alcuni componenti come i parafanghi a conchiglia, la pompa di iniezione e la fusione delle ruote anteriori e posteriori con sei raggi a calice proiettati verso l’esterno.

Erano identici anche il comando dell’acceleratore, posto vicino alla leva del cambio, e il diametro dei volani, successivamente ridotto. Simile e ben visibile anche il tappo del serbatoio dell’acqua, rotondo e chiuso a vite come quello del serbatoio carburante. A parte questi aspetti “SuperLandini” era però qualcosa di veramente nuovo rispetto ai modelli precedenti come ben dimostravano la presenza di un radiatore a termosifone con ventola e una nuova architettura generale. Il serbatoio combustibile raccordava infatti il radiatore con il posto guida fungendo da cofano e ciò permise di aumentare considerevolmente lo spazio e il comfort per l’operatore, alloggiato su un’ampia piattaforma piana che a sua volta reggeva un sedile ammortizzato con una molla a balestra, il volante e la leva del cambio.

Oltre 12 litri per 48 cavalli

The “SuperLandini” production workshop in Fabbrico

Per migliorare l’aderenza e la capacità di trazione fu inoltre riprogettato rispetto al modello precedente il punto di attacco della barra di traino inserendolo all’incirca al centro del mezzo così da limitare gli impennamenti causati da improvvisi aumenti dello sforzo di trazione. Il motore aveva una cilindrata di 12 mila 208 centimetri cubi ottenuti con un alesaggio da 240 millimetri e una corsa di 270 ed erogava una potenza massima di 48 cavalli attorno ai 620 giri al minuto, otto cavalli in più rispetto ai 40 realizzati a 500 giri dal modello “40”. Oggi una simile potenza può far sorridere ma all’epoca collocò “SuperLandini” tra i trattori più potenti del mercato, primato che mantenne fino al Dopoguerra. A suo favore anche il fatto che gli over 50 del periodo erano quasi tutti americani, estremamente pesanti e ingombranti, complessi, relativamente poco affidabili e di complicata manutenzione.

Meccanica semplice e affidabile

Il Nostro invece era enormemente più semplice e di più facile uso e manutenzione, senza contare la facilità di avviamento. Se la procedura di avviamento era corretta “SuperLandini” si avviava sempre e una volta in moto poteva rimanere in tale condizione per ore senza accusare surriscaldamenti e senza dar segni di affaticamento se portato a lavorare a pieno carico. Nonostante il “rito” dell’avviamento non fosse dei più pratici, tali doti erano sufficienti per farlo preferire alla concorrenza, fermo restando che anche a livello estetico la macchina era esente da critiche, resa imponente e importante dal radiatore dell’acqua frontale la cui ventola era attivava da un gruppo meccanico contenente la pompa iniezione e il regolatore oltre all’oliatore. Il componente, di fatto una centralina meccanica, era a sua volta azionato da una catena che prendeva moto dall’albero motore, soluzione che evitava di dover prevedere altri collegamenti a catena o a cinghia a parte quella necessaria per attivare la dinamo per i fari in caso di lavoro notturno. La struttura portante del motore comprendeva un cilindro sotto il quale era collocato il supporto dell’assale anteriore e un carter che oltre a fungere da basamento motore conteneva la scatola di sterzo, il cambio a tre marce più una retro e il differenziale.

Sezionato del trattore. Il progetto era semplice ma estremamente funzionale. Tutto era concepito per poter essere facilmente smontato e riparato senza possedere particolari competenze meccaniche

La frizione della trasmissione era a disco, collocata all’interno del volano di destra, e veniva azionata dall’unico pedale presente al posto guida in quanto il freno era a mano con una leva che agiva sulla trasmissione, soluzione poi affiancata sulle successive versioni stradali da freni operanti sulle ruote motrici posteriori e assistiti da un impianto ad aria compressa. La leva del cambio era protetta da un blocco di sicurezza attivabile solo premendo un apposito pomello posto sulla leva stessa che a quel punto rendeva disponibili tre velocità la più corta delle quali realizzava una velocità di tre chilometri/&ora e la più lunga poco più di sei.

Cerchi di ferro per circolare su strada

Prestazioni minimali ma coerenti con una macchina che inizialmente veniva consegnata con ruote motrici di ferro artigliate sulle quali si dovevano montare dei cerchioni di ferro per la circolazione fuori dal campo.

Più che soddisfatta del successo del suo testacalda Landini nel 1938 decise poi di rivedere la macchina lanciando una seconda serie facilmente identificabile dai nuovi parafanghi integrali tipo “biga romana”. Si estendevano infatti nella parte anteriore formando un corpo unico che proteggeva completamente l’operatore. I raggi dei cerchioni assunsero inoltre una configurazione più verticale e il tappo del radiatore dell’acqua a vite venne sostituito da un elemento “a sportello” con chiusura di sicurezza a molla. Diminuì inoltre il diametro dei volani, il comando dell’acceleratore venne posto sul parafango di sinistra e la cassetta porta attrezzi cambiò forma.

Un “SuperLandini” prima serie, identificabile dai parafanghi a conchiglia e dalla particolare forma delle ruote posteriori. Non vi sono riscontri oggettivi, ma i collezionisti collocano in questa categoria tutti i modelli prodotti dal 1934 al 1937

Va precisato a questo punto che all’epoca per molti costruttori ivi compresa Landini non esisteva una linea di demarcazione netta tra la prima e la seconda serie di una macchina in quanto i volumi di produzione erano relativamente limitati, nel 1937 la Casa produsse in tutto 164 “SuperLandini” e 99 “Velite”, e i componenti a magazzino dell’una o dell’altra serie erano sfruttati alla bisogna. Particolari della prima serie potevano trovar posto sui modelli successivi se necessario e lo stesso al contrario per i gruppi da sottoporre a test di durata. A ciò si aggiunga che una ricostruzione storica delle differenze fra le due serie non è aiutata dai modelli giunti sino ai giorni nostri in quanto molti di loro sono stati restaurati o completati con pezzi di ambedue le serie. Vero è, però, che la seconda serie si offriva con un posto guida ancora più spazioso e semplice nell’organizzazione dei comandi proponendo sulla sinistra l’acceleratore e la leva del freno, al centro il volante e la leva del cambio e a destra il pedale della frizione. Unico marchingegno elettrico era l’attivatore della dinamo per la flebile illuminazione notturna. Non esisteva la strumentazione, ma si poteva controllare il livello del combustibile tramite un’asta che spuntava dal serbatoio. Un galleggiante immerso la spingeva in alto o in basso a seconda del livello del carburante mentre il livello dell’olio di lubrificazione era visibile attraverso una finestrella trasparente posta sulla centralina del motore. La macchina quando operava in piena potenza consumava poco meno di 12 chili di gasolio/ora che diventavano otto o nove nell’utilizzo medio giornaliero.

Consumava poco gasolio ma tanto olio

Esemplare impegnato in aratura con aratro carrellato

La capacità del serbatoio combustibile di 85 litri garantiva quindi una discreta autonomia di lavoro ma si doveva fare i conti anche con un consumo di olio di poco inferiore ai due chili ogni dieci ore di lavoro, lubrificante che oltretutto tendeva ad accumulare sporcizia e a perdere le sue proprietà. Per questo motivo dal 1940 fu montato un recupero dell’olio dotato di un filtro che però a quel punto divenne obbligatorio controllare e pulire di frequente. Ciò nonostante poco dopo la fine del Secondo Conflitto Mondiale Landini aumentò la potenza massima della macchina portandola a 50 cavalli alla puleggia, prestazione ottenuta aumentando i giri a 650 e agendo sulla pompa iniezione.

Uno degli ultimi esemplari dotato di mascherina del radiatore e di pneumatici. Gli anteriori misuravano 6.50 R20, I posteriori 12 R38.

Aumentarono un tantino i consumi di carburante e di olio lubrificante, ma aumentò anche la nomea della macchina che divenne ancora più “Super” risultando caratterizzata da una targhetta di identificazione che oltre al tipo di trattore e al numero di serie indicava anche la potenza all’albero motore corrispondente di fatto a quella della puleggia. La scritta “CV. 45.50” non era in appannaggio a molte altre macchine e poco importava se la prima cifra era riferita alla potenza continuativa e la seconda a quella massima, disponibile solo in caso di necessità e per un breve periodo. Non è un caso quindi se la macchina ebbe un successo di mercato senza precedenti risultando costruita dal momento del lancio, nel 1934, fino a 1951 in oltre tre mila e 300 unità. A tale exploit contribuirono anche i costanti aggiornamenti cui la Casa sottopose il trattore arrivando nel Dopoguerra a proporlo proposto anche con ruote dotate di pneumatici con un sovraprezzo di 250 mila lire ma fondamen tale fu anche il suo look look semplice, pulito e rassicurante che veniva immediatamente recepito in modo positivo dai clienti.

Hot bulb

Un’accensione di “SuperLandini” tramite il volano di sinistra e dopo il preriscaldo della calotta

Il nome “Testacalda”, “Hot bulb” in inglese, trova la sua origine nel particolare sistema di accensione del propulsore. Dato che la pressione di combustione non produceva una temperatura sufficiente per accendere il combustibile come accade nei diesel e dato che il combustibile era spesso scadente, lo si polverizzava contro la parete della camera di combustione resa incandescente da un preriscaldamento della calotta esterna effettuato con una lampada a petrolio per circa dieci minuti. Quando la calotta era in temperatura si iniettava una piccola quantità di combustibile mediante l’azionamento manuale della pompa iniezione, si portava il grosso pistone al punto morto superiore e lo si faceva pendolare agendo di forza sul volano fino a ché il motore, dopo qualche esplosione, si avviava. Era un processo complicato, faticoso e anche pericoloso, ma era emozionante ascoltare l’incertezza dei primi scoppi, vedere il trattore che sussultava come se dotato di vita propria per poi regolarizzarsi sulla base di un ritmo famigliare e amico.

Tabella

SuperLandini in sintesi
Motoret.calda orizz.
Cilindrata (l)12,2
Potenza (cv/rpm)45-50/650
Raffreddamentoradiatore/ventola
Marce3+1
Velocità (km/h)3,8/7,8  
  
Passo (mm)1.900
Lungh. (mm)3.100
Largh. (mm)1.720
Altezza (mm)1.600
Peso (kg)3.200
Produzione (da/a)1.934/1.951
Matricole (da/a91.501/6.868
Produzione (n.o)3.234

Titolo: Testacalda “Superlandini”, super in tutti i sensi

Autore: Massimo Misley

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